giovedì 6 novembre 2025

10. Parlando, a proposito, di vuoto (depression explained)


Posso quasi vedermi riflessa in quell'immenso buco di materia oscura, i miei "progetti", i miei "piani" disintegrarsi in quel buco di materia oscura. Avendo perso la mia sola persona la mia vita è sprofondata in quel grande buco nero in mezzo alla dinamica danza di miliardi di stelle, miliardi di vite che proseguono, miliardi di individui che brulicano nel mondo: i miliardi che non sanno nemmeno della mia esistenza qui, i tanti che ne sono a conoscenza ma non gliene frega nulla, il gruppetto di quelli che provano odio od altro di negativo - questo coincide quasi esattamente con quello immediatamente precedente. Non è facile non cadere nell'errore di pensare che sia finita per sempre - la mia vita, o meglio: le mie chances di sopravvivenza - qui dove brulica tanta gente disinteressata, e/o impossibilitata ad amar(mi), così come mai io potrei (riuscirei ad) amare ognuno di loro. Né vederlo né conoscerlo. Nascosta nella mia tana, e, più di ogni altra cosa, nella mia prigione mentale. Comunque non saprei che farmene di nulla al mondo. Ci sono persone che non sono nate per "provare", "sentire": "Come una guerra dove non si muore, una malattia che non ha sintomi e non ha cura, (che) non dà dolore". (cit.) "Come se provassi amore." O come se provassi qualcosa. Qualsiasi cosa.

Non ho sufficiente lucidità a "sublimare" questo vuoto in un non-vuoto. Non ho dalla mia nessun talento. Posso - al più - alzarmi e camminare. Come Forrest Gump correva "veloce come il vento" dopo aver perso Jenny.

Pensa positivo in un grande, sterminato buco nero. Pensa a qualcosa di positivo - su di te, sul mondo, sulla vita, sul futuro. Prova ad amarti - in qualche modo amati. Era la litania della psicoanalista. "Amati". Non mi hanno insegnato niente di niente questi ultimi quattro anni (a fronte di 27 precedenti di odio, rifiuti, violenza, lavaggio del cervello, traumi, isolamento e molestie)? Temo di no. Cosa vuoi salvare quando tu ormai non ci vuoi più provare?

"Rispondi alla mia domanda", disse il dottorino. "Non vuoi vivere, o non vuoi vivere così?"
Parte l'ennesima dissociazione mentale (parziale). Il muro ad isolare dall'impatto emotivo.
Sposta lo sguardo nel vuoto. Il suo cervello non riesce a formulare, davanti ad una domanda del genere, alcun pensiero o riflessione sul "perché" della domanda stessa. (Eppure è lapalissiano). Ma cerca di rispondere con la massima sincerità. "Non voglio vivere" risponde.

Ma questo "non-volere" non si può coniugare nei termini di un dolore troppo profondo e troppo trascinato nel tempo - non riesco, quantomeno, a... -, ma semmai in quelli di una paura troppo cocciuta che ha disposto le carte per questo genere di rifiuto-per-la-vita che ormai ad una valutazione attuale dei dati sembrerebbe di impossibile - o molto difficile...  - rimedio.

Sono di coccio. Quindi cammino. Senza mèta. Non so far altro (non so che altro fare).


Nessun commento:

Posta un commento