domenica 26 ottobre 2025

1. Lo specchio

Siamo sicuri di conoscerci bene, se non altro nel nostro essere "tipi comuni, per bene, a posto", ma a me ha sempre tormentato l'idea di non esserlo. E il soffio che rinfocola il mio disturbo - DBP - è proprio questa persuasione, dovuta a un "pensar troppo", rimuginare troppo, sul non andare bene. Ho interiorizzato un'idea di diversità irrimediabile che è molto difficile da sradicare. L'auto-compassione può insegnarci che, per quanto possiamo sentirci diversi, non siamo altro che piccoli pezzi del puzzle umano, ciascuno di noi è nell'umano, è umano, ed è parte dell'umanità con una sua importanza, cioè con la sua poca importanza. Tormentati, tutti, da un dolore unico - esperienze molto diverse, ma l'inconscio collettivo ci riunisce ognun di noi in un'unica risonanza collettiva; motivo per cui ci rispecchiamo in miliardi nella musica, nelle scene di un film diffuso a livello planetario, pur avendo vite individualmente distinte e distanti.

Questo è un blog di guarigione, e il primo passo di ogni guarigione è capire quanto sia oscuro il proprio "vero io" - quell'Ombra di cui parlava Jung, il nostro "doppelganger" inquietante che traspare in ogni nostro gesto, anche se in modo dissimulato, e spesso sbuca fuori dalla tana in cui cerchiamo di sotterrarlo nei momenti più inaspettati.

Sono qui per guardarmi allo specchio. Non per scavare nel mio interno - l'ho sempre fatto; e la cosa più importante che vedrei in me sarebbe solo l'impressione di essere una "brava persona" tutto sommato, ma più spesso l'idea di essere tutto meno che "buona", a seconda di come si alternano i miei sbalzi di prospettiva. La dissonanza cognitiva è un concetto molto triste della psicoanalisi. Sostiene che ci percepiamo non-so-quante-volte migliori di come siamo dal di fuori. E così più che guardarci allo specchio: proviamo a guardarci da fuori.

Cara Shadow, ti eleggo mio alter-ego. Cosa vedi in me, nel complesso?

Nel reparto psichiatrico dove venni internata mi chiamarono "discarica". E non fu la ferita narcisistica a farmi star male. Piuttosto la domanda: davvero io sono - o sembro - in questo modo? Davvero, come diceva quell'altra paziente, sono - o sembro - una persona così disgustosa da far vomitare?

Tendo ad accogliere lo sguardo dell'altro come un riflesso. Ognuno di quelli che incappano nel mio cammino - e lo fanno tutti nel momento giusto - hanno una verità da raccontare su di me. Anche il peggiore mi fa da specchio. Cerco di specchiarmi negli occhi degli altri. Cosa vedono? Cosa posso leggere nei loro occhi io? 

Al momento credo che la dissonanza cognitiva fra quello che sono e che credo di essere (pur avendo una bassa autostima) sia abbastanza accentuata da tenermi lontana dalla morte. Anche l'isolamento emotivo aiuta. Quella specie di "burnout" che ti impedisce di carpire quanto è profondo il tuo dolore.

Riesumando quel dolore, dandogli voce, pensavo di riuscire a trovare quella compassione che non ho trovato quando ero piccola nelle mie figure di accudimento. Adesso, io sono convinta che il passato non possa far altro che gravare sulle mie spalle. Che non ho più la forza di sostenerlo. E che per andare avanti in questa vita, devo liberarmi di questa zavorra di dolore inutile lunga trentadue anni e guardare al "poi".

Ma non negandola. Piuttosto, accogliendola. Accettandola. 
Cercare dentro ciò che si mendica fuori: accettare se stessi; provar compassione per se stessi; comprensione; persino amore.

Questo è il motivo per cui vivo: rinascere in una nuova pelle. Come chi è pieno di vita - come chi la vita l'ha vissuta.

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